ANNO 14 n° 120
Peperino&Co.
Viterbo deve essere
più provinciale
di Andrea Bentivegna
17/09/2016 - 02:00

di Andrea Bentivegna

È dopo Santa Rosa che per i viterbesi inizia ''l’anno'' e come ogni volta la città si presenta piena di novità dato che in questo periodo sono concentrate la maggior parte delle aperture di nuovi negozi e attività commerciali. Quest’anno poi si sta assistendo ad una vera e propria pioggia di inaugurazioni.

Appena una settimana fa ha (ri)aperto Upim - il nuovo punto vendita Unico Prezzo Italiano Milano ha tagliato i nastri in via Garbini-, poco più giù, tra un paio di mesi, sarà la volta di Decathlon e presto anche il colosso svedese H&M sbarcherà in via Matteotti. L’euforia sui social è già tangibile ma non sono mancate nemmeno le solite polemiche spesso pretestuose.

L’argomento è tuttavia interessante e si offre ad alcune riflessioni. La prima, più banale ma non per questo meno fondamentale, è che questi negozi portano occupazione, e nemmeno poca. Una ventata d’ossigeno quindi per una città come la nostra da tempo in affanno. Ben vengano allora questi marchi che scelgono di investire qui.

In secondo luogo, però, bisogna anche muovere delle critiche all’aspetto logistico. Questi grandi poli commerciali continuano ad addensarsi solo lungo un’unica direttrice, quella sella Cassia Nord, che è diventata, da qualche anno, il luogo più ambito per il commercio senza che nessun amministratore si ponesse il problema delle conseguenze sulla viabilità cittadina. Il risultato è che, anno dopo anno, via Garbini si è trasformata in un girone infernale in cui si incolonna ogni giorno una fila ininterrotta di auto. C’è da tremare ora pensando a cosa potrà diventare quella strada un sabato pomeriggio sotto Natale.

Poi c’è un ulteriore aspetto di questa vicenda che mi fa riflettere ed è legato solo di riflesso a questi nuovi negozi. Proprio spulciando i social, in questi giorni si possono leggere molti commenti entusiastici su questo argomento. La maggiorparte dei viterbesi pare salutare queste inaugurazioni come la fine di un embargo decennale che ha costretto la città a rimanere ai margini del mondo.

La prima risposta che mi viene da dare è che non sarà certo un ingrosso di abbigliamento sportivo, piuttosto che un fast food a cambiare le cose. E nemmeno aprissero Ikea, l’ Apple Store e Disneyland (per fare dei nomi) Viterbo e soprattutto i suoi abitanti diventerebbero di colpo meno provinciali. La mentalità non è conseguenza dello shopping ma un fatto culturale.

La seconda è invece una notizia che potrebbe sconvolgere gli animi, ovvero che questa città è provinciale e che se solo fossero i viterbesi ad esserlo un po’ meno si renderebbero pure conto che questa è la nostra fortuna. Sì, perché in un epoca in cui le scarpe da ginnastica o il telefono nuovo si possono acquistare su internet ciò che rende la realtà un luogo migliore non sono i grandi marchi ma la qualità della vita e quella non è in vendita.

Intendiamoci: se è vero che non sono i grandi negozi a migliorare la città, è altrettanto evidente che non siano nemmeno la causa dei suoi mali. Il punto è piuttosto un altro. Contrariamente a quanto pensano in molti, essere oggi una città di provincia è una gran fortuna. Basti pensare al nostro centro, alla campagna, alle terme e persino alle nostre attività contadine o artigianali che ci sembrano ormai quasi una vergogna sono in realtà dei tesori inestimabili.

Questo non vuol dire dover rinunciare ai grandi marchi, affatto. Semplicemente significa trovare un giusto bilanciamento tra questi e le risorse che ci sono già sul nostro territorio in modo che tutte queste novità ci possano rendere ancora più provinciali.

 

 

 





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